L’impatto della pandemia sui diritti delle donne e sulla loro partecipazione ai processi di pace

L’impatto della pandemia sui diritti delle donne e sulla loro partecipazione ai processi di pace
22/10/2020 – Marta Panaiotti – Collaboratore di ricerca presso sapienza Università degli Studi di Roma

In questi primi nove mesi di emergenza sanitaria, la diffusione del COVID-19 ha prodotto effetti drammatici sull’intera popolazione mondiale, con conseguenze particolarmente preoccupanti anche sulla vita e i diritti delle donne nelle aree di conflitto, e – in particolare – sulla loro possibilità di svolgere un ruolo attivo nei processi decisionali.

Come dimostrano ricerche condotte dall’UN Women, in contesti già problematici, segnati da conflitti armati, violenza e diffuse violazioni dei diritti umani delle donne, queste ultime hanno subito gravi restrizioni nell’accesso ai servizi per la salute sessuale e riproduttiva, ai mezzi di sostentamento e ad altri servizi essenziali, venendo così maggiormente esposte a malattie e situazioni di vulnerabilità. Anche l’aumento della violenza domestica e il considerevole coinvolgimento di donne e ragazze in attività socio-assistenziali hanno contribuito ad accrescere le fragilità di questa categoria durante l’attuale pandemia. Nel caso di donne rifugiate, sfollate o provenienti da contesti rurali, il fenomeno di marginalizzazione è stato aggravato dall’impossibilità di reperire informazioni certe e affidabili, nonché dal mancato accesso a tecnologie considerate essenziali.
Il quadro appena descritto è stato esacerbato anche dal taglio delle risorse destinate alle attività di advocay e progettazione per la promozione della partecipazione femminile alla vita politica e sociale, con possibili e gravi conseguenze intergenerazionali in termini di limitazione dei diritti delle donne in settori fondamentali come l’educazione e l’empowerment economico.

In un contesto simile, la tutela e la promozione dei diritti delle donne, dovrebbero essere considerati più che mai una priorità. A partire dai processi di pace, lo sforzo dovrebbe essere quello di includere disposizioni in materia di parità di genere negli accordi sui cessate-il-fuoco, di introdurre la prospettiva di genere in fase negoziale, di ricostruzione e stabilizzazione post-conflitto come conditio sine qua non per la costruzione di società inclusive, giuste e pacifiche. Bisogni e prospettive di genere, quando correttamente considerati e inseriti negli accordi pace, hanno dimostrato di garantire, tra l’altro, una maggiore possibilità di successo degli stessi.

Per superare queste nuove-vecchie barriere all’inclusione e alla sicurezza delle donne che l’emergenza sanitaria ha contribuito a rinsaldare, diverse associazioni femminili hanno richiamato l’attenzione sulla necessità di assicurare alle stesse assistenza umanitaria, di incentivare lo scambio e/o il rilascio di prigionieri, di garantire l’accesso alla sanità pubblica, alla protezione sociale e all’assistenza economica a tutte le categorie, come anche quella di favorire il coinvolgimento delle donne peacebuilders nei processi decisionali relativi, non solo alla risoluzione dei conflitti amati, ma anche alla progettazione e all’implementazione delle misure anti-COVID.
Si tratta di iniziative fondamentali che garantirebbero una maggiore protezione dei diritti delle donne e delle loro comunità di appartenenza in un momento storico che sta contribuendo ad esasperare le disuguaglianze di genere e a indebolire i meccanismi di risposta alle stesse in situazioni di conflitto.

Cionondimeno, la crisi attuale può essere considerata anche come un’opportunità per dare nuovo impulso alla rinegoziazione dei contratti sociali e per collocare al centro dell’agenda internazionale la questione della partecipazione attiva delle donne alla vita pubblica e ai processi di peacebuilding.

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